Il giorno che Ludovica morì Luca non c'era. Stava pescando in un laghetto carpe giganti, bestie da almeno venti venticinque chili. Le portava a riva, le teneva in braccio e si faceva fotografare da un amico con quel trofeo, poi le rigettava in acqua. Ne aveva tirate fuori due enormi e fotografate, la terza aveva strappato il filo di nylon e subito riguadagnato il largo, lasciandolo con un muso lungo fino a terra. Adesso se ne rimaneva sdraiato a gambe allargate per riprendere fiato. Pensava a niente, pensava ad un sacco di cose confuse, anche a Ludovica.
Non l'aveva mai incontrata, non ci aveva mai parlato al telefono pertanto non ne conosceva la voce, anzi non conosceva niente di lei, solo una piccola fotografia piuttosto sfocata e di chissà quanti anni prima gli aveva mostrato un volto piccolo affondato in una massa di capelli scuri e ricci, con un sardonico sorriso piantato nel mezzo. Sulla trentina, le aveva scritto lei una volta in una mail, single e niente affatto soddisfatta della vita, ma quello non c'era bisogno che lo dichiarasse perché traspariva da ogni riga dei suoi post quasi giornalieri.
Ecco, di Ludovica conosceva solamente quello che lei predicava nei suoi post, brevi, secchi dove gli aggettivi latitavano come la punteggiatura. Bollettini di guerra, li aveva definiti lei una volta, una guerra che lei centellinava nel tempo lasciando sempre i suoi commentatori col fiato sospeso su quello che sarebbe capitato di leggere il giorno dopo.
Luca se ne stava sdraiato a gambe larghe pensando proprio all'ultimo post di Ludovica, che aveva letto di corsa prima di partire con le sue canne. Il post parlava di solitudine, di angoscia, sembrava un grido disperato. Luca aveva pensato che gli occorreva un po' di tempo per formulare un commento da amico, da persona che vuole essere utile, e adesso stava appunto pensando al tono del suo commento più che al contenuto, tanto lei oramai lo conosceva assai bene e non aveva bisogno di scrivere molto per farle capire cosa pensasse.
Raccolse le sue canne, salutò i suoi amici e si accinse tornare a casa, perché la voglia di farsi immortalare con in braccio pescioni enormi se ne era andata.
Aprì immediatamente il portatile sul blog di Ludovica. I soliti commenti dei frequentatori abituali. Mancava il suo, che di solito era il primo. Scrisse rapidamente, in punta di pennino, come si suol dire: sobrio, parole scabre, dirette, pochissimi aggettivi per allinearsi allo stile dell'autrice del blog. Lo rilesse e ne fu soddisfatto. Cliccò l'invio. Sapeva che Ludovica avrebbe risposto immediatamente. A quell'ora sembrava stare in agguato davanti alla tastiera del suo computer. Luca si abbandonò sulla poltrona girevole e chiuse gli occhi. Che strana storia era stata la loro, strana certamente da parte sua, ma questo a Ludovica non lo aveva mai rivelato.
Si trattava del sogno, del suo sogno, che faceva da quando era un adolescente, tutte le notti. Andava a letto pregustando il momento in cui l'avrebbe vista: una ragazza bellissima, sempre ridente coi lunghi capelli fulvi avvolti intorno alla testa, alta almeno quanto Luca irradiava gioia intorno a sé. Quante volte aveva avuto l'impulso di correrle incontro e di abbracciarla, ma poi le sembrava troppo bella e troppo irraggiungibile. Così arrivava il mattino e lei scompariva con la luce del giorno. Ogni volta Luca si incitava: parlale, parlale almeno lei ti risponde e senti la sua voce, dille qualcosa, qualunque cosa. Ma invece rimaneva muto e inchiodato al suolo. Conclusa l'adolescenza era finito anche il sogno, lasciandogli il rammarico di non aver mai osato e la nostalgia di quel viso sorridente.
Ciattando a casaccio un bel mattino aveva sbattuto il muso su quel blog agro dolce, di difficile comprensione istantanea. Si era chiesto se l'autrice, una certa Ludovica Zorzi, facesse sul serio o fosse una di quelle adescatrici di curiosi e di sciocchi di cui il web è pieno. All'inizio c'era andato cauto, tastando il terreno come si suol dire. Commenti brevi, ironici, senza esporsi tanto. Lo aveva sorpreso la velocità con cui Ludovica rispondeva, come se stesse aspettando solo il suo commento, ma guardando gli orari si vedeva che faceva così con tutti i suoi frequentatori. Probabilmente usava il cellulare, non era pensabile che se ne stesse attaccata al computer tutto il suo tempo.
Così era nata una frequentazione quotidiana sul blog, prolungata in una serie di email, al ritmo a volte di tre o quattro al giorno e anche più, in cui il loro rapporto era diventato un'amicizia stretta. Quel che Luca non aveva mai rivelato a Ludovica era che fin dall'inizio nella sua immaginazione quel che aveva visto dinnanzi a sé era il volto della fanciulla dei suoi sogni giovanili. Era successo automaticamente, man mano che il feeling tra loro prendeva consistenza. E poco importa se la piccola foto che lei gli aveva inviato via WhatsApp raffigurasse un viso completamente diverso, per Luca lei era la morbida ragazza fulva che gli sorrideva tutte le notti.
Come adesso, sulla poltrona girevole davanti al suo portatile che aspettava la risposta al suo commento: lei stava in un angolo della stanza e gli sorrideva tranquilla.
Ma la risposta stranamente ritardava. E dopo due ore non era ancora arrivata e questa sì che era una cosa sensazionale.
Si tratta certamente di un contrattempo, pensò Luca e si decise s chiudere il portatile, dato che c'erano un paio di cosette che non poteva rimandare. Ma alla sera, quando riaprì il portatile non c'era ancora la risposta al suo commento. Quel che era peggio al mattino dopo non c'era il solito post sobrio e sferzante. Non c'era niente. Silenzio.
La sera stessa Luca inviò una brevissima email a Ludovica.
"Che ti sta succedendo?".
Era preoccupatissimo, ma per quattro giorni tutto rimase in silenzio sul blog di Ludovica.
Il mercoledì sera, alla televisione, sul programma serale del terzo canale "Chi l'ha visto", apparve l'annuncio della scomparsa improvvisa da quattro giorni di Ludovica Zorzi.
Dissero che era scomparsa da casa sua a Padova la mattina del sabato, che aveva 31 anni, altezza un metro e settantun centimetri, occhi scuri, capelli scuri, segni particolari nessuno. Non aveva preso la macchina che stava ancora in garage.
Luca passò una settimana come se stesse nell'inferno, ma non poteva fare niente altro che sperare che Ludovica tornasse. Ogni tanto una guardata alla sua posta elettronica, un'altra al blog dell'amica scomparsa, ma naturalmente non ci fu mai una variazione. Solo silenzio.
Il mercoledì successivo a "Chi l'ha visto" annunciarono il ritrovamento di Ludovica Zorzi padovana. L'avevano ripescata proprio quella mattina i pompieri dal Brenta vicino a Vigodárzere. Omicidio o suicidio, mistero.
Ancora una settimana dopo sempre durante la stessa trasmissione dissero che l'autopsia non aveva chiarito nessun dubbio e che adesso il cadavere era nell'Obitorio comunale di Padova in attesa che qualche parente la reclamasse per il funerale. Finora non si era fatto vivo nessuno e sembrava che questa donna fosse sola al mondo.
Il giovedì mattina Luca partì per Padova.
All'Obitorio c'era solo un guardiano.
"Voglio vedere la Zorzi".
"Ci vuole un permesso dei Carabinieri", gli rispose il guardiano.
Luca tirò fuori dal portafoglio una banconota ca 50 euro poi, visto che l'altro ancora indugiava, una seconda. Il guardiano si guardò intorno e cacciò in tasca le banconote.
"Facciamo alla svelta, ma io non ti ho mai visto".
Sarà il suo spasimante, pensò e lo introdusse nella stanza delle celle frigorifere.
Ne aprì una, come si apre un cassetto. Dentro c'era un sacco di plastica nero chiuso con una lunga cerniera. Luca si avvicinò e rabbrividì. Dentro c'era un corpo nudo di donna di un colore livido, come pietra antica. Fissò quel corpo intensamente dall'ombelico al collo e poi la guardò in viso e per un pelo non svenne: gli occhi, i lineamenti, la bocca, i capelli fulvi, quella era la donna del suo sogno giovanile, anche nella rigidità della morte manteneva la stessa espressione, come l'aveva vista ogni notte per tanti anni. Cadde in ginocchio e si aggrappò al bordo della lettiga scorrevole che la conteneva, appoggiando la fronte al metallo gelido come per averne un ristoro. Sentì qualcosa sotto le dita, era un cartoncino. C'era scritto qualcosa, ma quello che lo colpì fu il nome scritto stampatello a grosse lettere: P. ZORZI.
"Che significa questa P.?" chiese al guardiano.
"È il suo nome, Paola".
"Ma io cercavo Ludovica Zorzi, quella affogata nel Brenta".
"È in un'altra cella. Sa, Zorzi è un nome molto comune da queste parti. Venga che gliela faccio vedere".
"No, non voglio vederla, mi basta così".
Si alzò in piedi e si diresse verso l'uscita. Fuori il sole quasi lo accecò. Barcollò mentre scendeva i quattro gradini dell'ingresso. Un attimo dopo entrò nella sua auto, mise in moto e sparì.
Non l'aveva mai incontrata, non ci aveva mai parlato al telefono pertanto non ne conosceva la voce, anzi non conosceva niente di lei, solo una piccola fotografia piuttosto sfocata e di chissà quanti anni prima gli aveva mostrato un volto piccolo affondato in una massa di capelli scuri e ricci, con un sardonico sorriso piantato nel mezzo. Sulla trentina, le aveva scritto lei una volta in una mail, single e niente affatto soddisfatta della vita, ma quello non c'era bisogno che lo dichiarasse perché traspariva da ogni riga dei suoi post quasi giornalieri.
Ecco, di Ludovica conosceva solamente quello che lei predicava nei suoi post, brevi, secchi dove gli aggettivi latitavano come la punteggiatura. Bollettini di guerra, li aveva definiti lei una volta, una guerra che lei centellinava nel tempo lasciando sempre i suoi commentatori col fiato sospeso su quello che sarebbe capitato di leggere il giorno dopo.
Luca se ne stava sdraiato a gambe larghe pensando proprio all'ultimo post di Ludovica, che aveva letto di corsa prima di partire con le sue canne. Il post parlava di solitudine, di angoscia, sembrava un grido disperato. Luca aveva pensato che gli occorreva un po' di tempo per formulare un commento da amico, da persona che vuole essere utile, e adesso stava appunto pensando al tono del suo commento più che al contenuto, tanto lei oramai lo conosceva assai bene e non aveva bisogno di scrivere molto per farle capire cosa pensasse.
Raccolse le sue canne, salutò i suoi amici e si accinse tornare a casa, perché la voglia di farsi immortalare con in braccio pescioni enormi se ne era andata.
Aprì immediatamente il portatile sul blog di Ludovica. I soliti commenti dei frequentatori abituali. Mancava il suo, che di solito era il primo. Scrisse rapidamente, in punta di pennino, come si suol dire: sobrio, parole scabre, dirette, pochissimi aggettivi per allinearsi allo stile dell'autrice del blog. Lo rilesse e ne fu soddisfatto. Cliccò l'invio. Sapeva che Ludovica avrebbe risposto immediatamente. A quell'ora sembrava stare in agguato davanti alla tastiera del suo computer. Luca si abbandonò sulla poltrona girevole e chiuse gli occhi. Che strana storia era stata la loro, strana certamente da parte sua, ma questo a Ludovica non lo aveva mai rivelato.
Si trattava del sogno, del suo sogno, che faceva da quando era un adolescente, tutte le notti. Andava a letto pregustando il momento in cui l'avrebbe vista: una ragazza bellissima, sempre ridente coi lunghi capelli fulvi avvolti intorno alla testa, alta almeno quanto Luca irradiava gioia intorno a sé. Quante volte aveva avuto l'impulso di correrle incontro e di abbracciarla, ma poi le sembrava troppo bella e troppo irraggiungibile. Così arrivava il mattino e lei scompariva con la luce del giorno. Ogni volta Luca si incitava: parlale, parlale almeno lei ti risponde e senti la sua voce, dille qualcosa, qualunque cosa. Ma invece rimaneva muto e inchiodato al suolo. Conclusa l'adolescenza era finito anche il sogno, lasciandogli il rammarico di non aver mai osato e la nostalgia di quel viso sorridente.
Ciattando a casaccio un bel mattino aveva sbattuto il muso su quel blog agro dolce, di difficile comprensione istantanea. Si era chiesto se l'autrice, una certa Ludovica Zorzi, facesse sul serio o fosse una di quelle adescatrici di curiosi e di sciocchi di cui il web è pieno. All'inizio c'era andato cauto, tastando il terreno come si suol dire. Commenti brevi, ironici, senza esporsi tanto. Lo aveva sorpreso la velocità con cui Ludovica rispondeva, come se stesse aspettando solo il suo commento, ma guardando gli orari si vedeva che faceva così con tutti i suoi frequentatori. Probabilmente usava il cellulare, non era pensabile che se ne stesse attaccata al computer tutto il suo tempo.
Così era nata una frequentazione quotidiana sul blog, prolungata in una serie di email, al ritmo a volte di tre o quattro al giorno e anche più, in cui il loro rapporto era diventato un'amicizia stretta. Quel che Luca non aveva mai rivelato a Ludovica era che fin dall'inizio nella sua immaginazione quel che aveva visto dinnanzi a sé era il volto della fanciulla dei suoi sogni giovanili. Era successo automaticamente, man mano che il feeling tra loro prendeva consistenza. E poco importa se la piccola foto che lei gli aveva inviato via WhatsApp raffigurasse un viso completamente diverso, per Luca lei era la morbida ragazza fulva che gli sorrideva tutte le notti.
Come adesso, sulla poltrona girevole davanti al suo portatile che aspettava la risposta al suo commento: lei stava in un angolo della stanza e gli sorrideva tranquilla.
Ma la risposta stranamente ritardava. E dopo due ore non era ancora arrivata e questa sì che era una cosa sensazionale.
Si tratta certamente di un contrattempo, pensò Luca e si decise s chiudere il portatile, dato che c'erano un paio di cosette che non poteva rimandare. Ma alla sera, quando riaprì il portatile non c'era ancora la risposta al suo commento. Quel che era peggio al mattino dopo non c'era il solito post sobrio e sferzante. Non c'era niente. Silenzio.
La sera stessa Luca inviò una brevissima email a Ludovica.
"Che ti sta succedendo?".
Era preoccupatissimo, ma per quattro giorni tutto rimase in silenzio sul blog di Ludovica.
Il mercoledì sera, alla televisione, sul programma serale del terzo canale "Chi l'ha visto", apparve l'annuncio della scomparsa improvvisa da quattro giorni di Ludovica Zorzi.
Dissero che era scomparsa da casa sua a Padova la mattina del sabato, che aveva 31 anni, altezza un metro e settantun centimetri, occhi scuri, capelli scuri, segni particolari nessuno. Non aveva preso la macchina che stava ancora in garage.
Luca passò una settimana come se stesse nell'inferno, ma non poteva fare niente altro che sperare che Ludovica tornasse. Ogni tanto una guardata alla sua posta elettronica, un'altra al blog dell'amica scomparsa, ma naturalmente non ci fu mai una variazione. Solo silenzio.
Il mercoledì successivo a "Chi l'ha visto" annunciarono il ritrovamento di Ludovica Zorzi padovana. L'avevano ripescata proprio quella mattina i pompieri dal Brenta vicino a Vigodárzere. Omicidio o suicidio, mistero.
Ancora una settimana dopo sempre durante la stessa trasmissione dissero che l'autopsia non aveva chiarito nessun dubbio e che adesso il cadavere era nell'Obitorio comunale di Padova in attesa che qualche parente la reclamasse per il funerale. Finora non si era fatto vivo nessuno e sembrava che questa donna fosse sola al mondo.
Il giovedì mattina Luca partì per Padova.
All'Obitorio c'era solo un guardiano.
"Voglio vedere la Zorzi".
"Ci vuole un permesso dei Carabinieri", gli rispose il guardiano.
Luca tirò fuori dal portafoglio una banconota ca 50 euro poi, visto che l'altro ancora indugiava, una seconda. Il guardiano si guardò intorno e cacciò in tasca le banconote.
"Facciamo alla svelta, ma io non ti ho mai visto".
Sarà il suo spasimante, pensò e lo introdusse nella stanza delle celle frigorifere.
Ne aprì una, come si apre un cassetto. Dentro c'era un sacco di plastica nero chiuso con una lunga cerniera. Luca si avvicinò e rabbrividì. Dentro c'era un corpo nudo di donna di un colore livido, come pietra antica. Fissò quel corpo intensamente dall'ombelico al collo e poi la guardò in viso e per un pelo non svenne: gli occhi, i lineamenti, la bocca, i capelli fulvi, quella era la donna del suo sogno giovanile, anche nella rigidità della morte manteneva la stessa espressione, come l'aveva vista ogni notte per tanti anni. Cadde in ginocchio e si aggrappò al bordo della lettiga scorrevole che la conteneva, appoggiando la fronte al metallo gelido come per averne un ristoro. Sentì qualcosa sotto le dita, era un cartoncino. C'era scritto qualcosa, ma quello che lo colpì fu il nome scritto stampatello a grosse lettere: P. ZORZI.
"Che significa questa P.?" chiese al guardiano.
"È il suo nome, Paola".
"Ma io cercavo Ludovica Zorzi, quella affogata nel Brenta".
"È in un'altra cella. Sa, Zorzi è un nome molto comune da queste parti. Venga che gliela faccio vedere".
"No, non voglio vederla, mi basta così".
Si alzò in piedi e si diresse verso l'uscita. Fuori il sole quasi lo accecò. Barcollò mentre scendeva i quattro gradini dell'ingresso. Un attimo dopo entrò nella sua auto, mise in moto e sparì.