mercoledì 12 maggio 2010

AVREI TANTO VOLUTO

Avrei tanto voluto che il 31 agosto 1970 a Treviso, aprendo di mattina assai presto il portone di casa, quella mia Via Ermolao Barbaro non fosse piena di pietrisco e ghiaia, ma si fosse trasformata in un lungo e grande prato di erba alta verde smeraldo e fiori gialli, erba alta fino ai ginocchi, e in fondo non la Via Santi e Quaranta ma ancora prati ai piedi di una collina, e colline tutte intorno a perdita d'occhio.
E io a correre a salti dentro quell'erba che non fa rumore mentre la calpesti; che non si abbatte mentre la calpesti; e io a correre dritto verso la prima di quelle colline e di lassù guardarmi intorno e non vedere più case, non vedere più strade, non vedere più gente, ma solo te, papà, che dalla collina più alta e più lontana mi saluti alla mano e mi fai cenno di venire lassù da te.
Un giorno intero insieme, immersi fino ai ginocchi nell'erba alta delle tue colline.
C'era qualcosa che volevi dirmi? Mi chiedi tu.
C'era qualcosa che volevo dirti. Ti rispondo io.
Per questo sono tornato.
E scavalchiamo ruscelli senza bagnarci i piedi, e calpestiamo erba che non si abbatte, che non si piega sotto l'onda del vento che non scompiglia i miei capelli lunghi fin sulle spalle -non sono ancora bianchi e sono tanti-; vento che non agita i tuoi, che sono bianchi e oramai più pochi.
E il sole negli occhi non dà fastidio, non te ne accorgi nemmeno, non me ne accorgo nemmeno; e non viene il fiatone a correre; non fa male la milza; non mi è venuta fame, non ti è venuta fame; non mi è venuta sete, non ti è venuta sete.
Ridi. Solamente ridi tu e ti brillano gli occhi. E rido anche io, soltanto rido e di sicuro mi brillano gli occhi.
Un giorno intero insieme. Ma non viene mai sera; mai scende il sole all'orizzonte e in cielo nemmeno una nuvola.
Volevo dirti qualcosa. Ti dico.
Volevo ascoltare qualcosa da te. Mi dici.
Io chiudo gli occhi, perché certe cose si dicono in silenzio -se chiudi gli occhi tutto scompare e c'è silenzio intorno a te-, e il silenzio diventa la superficie dell'acqua di un lago immobile, e le parole vi galleggiano come fiori di loto, come fiori.
Io chiudo gli occhi e ascolto la mia voce.
Sai, papà, ti ho sempre voluto un gran bene.
Questo è tutto.
Adesso lui è felice e anche io lo sono.

Avrei voluto tanto che in quel 31 agosto 1970 potesse succedere questo. Invece no: niente colline, niente erba alta che non si abbatte mentre la calpesti. Solo autostrada che percorro in silenzio per partecipare a un funerale.

Che ti succede Iacoponi? Che ti si muove nel cuore?
I tuoi figli non sanno quanto importanti sarebbero quelle quattro parole, dette al momento giusto, che forse è già adesso.
I tuoi figli non sanno che i papà se ne vanno in meno di 24 ore.
Poi magari ti vengono in sogno e ti dicono "non correre". Poi magari ti salvano la vita di notte, mentre attraversi un incrocio in una città straniera.
Ma il momento è passato in cui potevi farlo felice ed essere felice della sua gioia.
I figli: cosa faranno i figli?
Me lo chiedevi fratello. Ora lo sai.
I figli invaderanno la stanza dove ti sei chiuso per morire; non come cervi adulti che abbandonano il decaduto capobranco alla sua ultima ora.
Non così.

5 commenti:

  1. A volte, davanti a un testo, non sai decidere se sia più mozzafiato la bellezza della scrittura o il significato che vi è racchiuso.
    Non ho mai detto Ti voglio bene a mio padre.
    Gliene voglio tanto tanto.
    Riuscirò a dischiudere questa cazzo di bocca, o finirò col dirglielo soltanto DOPO?

    p.s. non credere che mi sia fatto scoraggiare dalla lunghezza del pezzo che sta qui sotto. Se non sarà prima di andare a nanna sarà domani, ma prometto che lo leggerò.
    Ciao Vincenzo!

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  2. Neanche io -te n'eri accorto?- ho mai detto quelle quattro parole a mio padre, e quarant'anni dopo mi sanguina il cuore a scrivere quel testo.
    Dischiudi subito la bocca: è il mio consiglio umano.
    Se, come penso, il pezzo lungo ti dovesse piacere vuol dire che è il genere che ti attira, e non solo te.
    Oggi qui in Cruccolandia è festa religiosa, e contemporaneamente la festa del papà -vedi tu che coincidenza!-; verranno i miei figli, ma penso di avere il tempo di postare un altro lunghetto. Poi vedremo. Ne ho qualcuno di veramente buono.
    Ciao Nick.

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  3. Io a mio padre gliel'ho detto, una volta, ti voglio bene, gliel'ho detto dal tinello alla cucina, ma non mi ascoltava. Dovrò ridirglielo, mannaggia. Perchè è così difficile "dischiudere questa cazzo di bocca", per usare un'espressione più che mai azzeccata, quando la cosa da dire è tanto semplice e bella? E invece è sempre tanto facile aprirla, quella cazzo di bocca, per fare uscire cazzate a gogò? Perchè siamo così gelosi dei nostri sentimenti? Perchè ci preoccupiamo di quello che non possiamo più dire invece che dire quello che possiamo, ancora, dire?

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  4. Conosco gente che quella cazzo di bocca dovrebbero cementarsela; ma più che la cazzo di bocca, quel cazzo di cervello che hanno, che poi corrisponde più che alla bocca a quelle cazze di dita.
    È frutto del tuo ingegno e dei tuoi sentimenti oppure l'hai asciugata da qualcuno con la tua carta assorbente quella sublime domanda finale?

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  5. la domanda finale? una coincidenza: avevo appena finito di leggere la lettera di un amico, e pensavo a quello che avrei voluto dirgli, o scrivergli, e una delle cose che avrei voluto dirgli o scrivergli corrispondeva proprio a quella domanda. La vita è così strana, a volte.

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